Alla fine degli anni 60, l’avvento del progressive rock porta delle grandi novità nella scena musicale. I cambiamenti sono numerosi e a vari livelli: tipologia di strumentazione utilizzata, modalità di composizione dei brani, scelta dei modelli a cui ispirarsi, concezione dei live show. Quello che è certo è che la voglia di sperimentare avvolge come un’onda tutti gli attori coinvolti, a prescindere dal loro ruolo.
Ecco i 20 brani che hanno fatto la storia.
Uno dei fondamenti del brano è il pattern ritmico di Collins. L’impressione è che si sia ispirato a uno degli esercizi del metodo per batteria jazz Advanced technique for the modern drummer di Jim Chapin... chissà...
Suono e costruzione ritmica varia e antesignana, dalle innovative scelte funk sia nello stile che nel suono.
Una batteria potente con i fusti che risuonano in modo molto pieno. Si avverte chiaramente l’influenza di John Bonham.
Il momento della maturazione è arrivato, qui è possibile apprezzare Collins in tutto il suo splendore.
Stupendo esempio di fusione artistica tra quelli che forse sono i due più grandi maestri del prog drumming: Collins e Bruford. Perfettamente bilanciati nello stile, diverso ma compatibilissimo!
Una delle pagine più belle del prog-drumming, geniale in tutto. Da notare i paradiddle e i linear pattern nell’accompagnamento di Bruford.
Uno dei primi esempi di linear pattern e illusioni ritmiche, che da quel momento in poi avrebbero fatto scuola nel progressive rock.
Un brano che potrebbe essere stato scritto per la batteria rock attuale, ma con il caratteristico suono del rullante brufordiano.
I numerosi obbligati di phrasing, durante i riff centrali, ci danno l’esatta idea di cosa fosse per Bruford il fraseggio melodico ritmico.
Brano costruito su un drum solo tematico della coppia Bruford-Mastelotto. Stupende anche le variazioni live durante il tour di THRAK.
A tratti sembra di trovarsi in un periferico ambito crimsoniano. Interessantissimo l’utilizzo da parte di Bruford dei rototom al posto dei “normali” tom... è un’altra sua innovazione.
Bellissimo l’utilizzo che Peart fa del set “allargato”, aggiungendo campane tubulari e glockenspiel al classico monster drum set, tutto inserito con perizia melodica e di arrangiamento.
Uno degli esempi più illuminanti del drumming anni 70 di Palmer: aggressività, tensione, fraseggio a tratti jazzistico basato su passaggi rapidi, dove il rullante è al centro di tutto.
Stupenda l’intro, basata su una ipnotica cellula ritmica dove White inserisce accompagnamento e fill incisivi. Il suo stile inizia a definirsi come uno dei meno “datati” degli anni 80.
L’intro del basso di Squire e i fill, che introducono i vigorosi cambi armonici sui crash, sono da manuale. Stupendo e quasi “dance 70” l’accompagnamento nella strofa. Geniale!
Forse è l’ultimo acuto tipicamente prog dei Marillion, per questo anche di Ian Mosley. Una delle pagine più belle del prog inglese di quel decennio. Per chi sa ascoltarlo, lo stile di Mosley è sempre al servizio del brano e al tempo stesso personale: due caratteristiche importantissime.
Il drumming di Harrison inizia a essere uno dei più apprezzati degli anni 2000 e qui si capisce il perché: tecnica, suono, accompagnamento, fraseggio personale ed equilibrio... serve altro?
Forse il momento più alto di Gavin con i Porcupine: fill ipertecnici ma sempre musicali e originali.
Anche in questo brano tutto parte dalla linea ritmica del basso e della batteria. Carey rende fluido e musicale ciò che in teoria può essere spigoloso.
Tutto Portnoy in un brano. Metal drumming, progressive sinfonico e sano protagonismo da consegnare all’antologia batteristica.
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